martedì 7 maggio 2019

"Perché stai facendo il tuo percorso?"
"Voglio essere il cambiamento che vorrei vedere nel mondo".
Parafrasando Gandhi voglio davvero questo nella mia vita, ma questa prima risposta così nobile nasconde due diverse visioni una egoica e un'altra spirituale.
Voglio essere il cambiamento che vorrei vedere negli altri... sembra molto simile alla frase detta sopra ma c'è un seguito..
- per non soffrire più -
Da qui parte una serie di considerazioni che arrivano da questo percorso di "scavo" interiore; ho compreso che forse la ferita più grande, della mia infanzia, è stata il non essere "vista" da mia madre, mi "vedeva" mia nonna, un po' anche mio padre ma mia madre no e di riflesso anche mia sorella non è mai stata in grado di "vedermi" pienamente a causa della sua codipendenza con mia mamma.
Non solo non venivo "vista", ma venivo continuamente travisata e contro-interpretata... ho passato tutta la mia infanzia a nascondere chi ero altrimenti pena... tanta sofferenza.
Che poi nascondere me stessa a quell'età era difficilissimo in quanto bimba e proprio per questo, i bimbi hanno la loro spontaneità, non mi riusciva neanche bene...
La mia infanzia, escludendo quando ero con mia nonna, è stata un inferno, io "capro espiatorioo della mia famiglia e di seguito spiegherò perché...
Fondamentalmente non ero accettata per la mia indipendenza, mentre mia madre è stata sempre molto "dipendente" dalla sua figlia (caratteristica che ho mantenuto e forse anche troppo) ma anche per la mia indole tranquilla, questo perché mia sorella, la prima figlia, quella nata dall'"amore", era una bambina vivace, come dicevano loro; Solare (per il periodo delle elementari lo fu anche troppo e immagino perché, probabilmente aveva compreso che per "sopravvivere" doveva essere iperattiva), io ero una bambina un po' più "adulta" e questa mia caratteristica non veniva accettata soprattutto da mia mamma che si è sempre sentita a disagio con me.
(Dico di essere il "capro espiatorio" perché sono stata concepita in un periodo di grave crisi familiare e quindi su di me sono state proiettate molte emozioni negative che non sto qui a spiegare...)
Questo mi ha portato ovviamente a sopprimere la mia identità e per parecchi anni della mia vita non sapevo mai che strada intraprendere, non solo, avevo la convinzione di essere un asino senza speranza.
Fino alla scuola dell'obbligo, per esempio, non ho avuto il problema della scelta perché quel percorso va da se, poi è arrivato il bivio...; il mio cuore voleva seguire il mio amore per l'arte, mentre ciò che era socialmente più accettabile (anzi accettabile da mia madre) era la scelta più "opportuna" dell'istituto tecnico commerciale e così mi sono diplomata in quello.
Anche la mia sensibilità, la mia sensitività non era accettabile in casa e ne ho fatto il mio peggiore incubo e "demone".
Insomma la mia insicurezza cronica ha delle basi talmente salde che ad oggi pur avendo la libertà di essere ciò che sono (ho 40 anni) non riesco ad esserlo probabilmente è quindi a "farmi vedere" dalle persone da cui voglio essere vista.
Ho anche pensato che in realtà non ci fosse nulla da vedere, ma tra la gente con una maggiore erudizione mi sento abbastanza "riconosciuta" nelle mie qualità animiche e intellettuali e questo mi gratifica un po' l'ego ma non l'anima, perché quello che voglio è che le persone a cui tengo mi riconoscano, non gli altri.
Potrebbe "vedermi" anche tutto il resto mondo ma per me non è quello l'obbiettivo primario...
Questo grida la mia bambina interiore, lo grida dentro ma nessuno delle persone a cui grida lo sente...
Passando alla parte più adulta e spirituale di me l'obbiettivo è su un ottava più alta, un obbiettivo votato a un grande ideale e cioè di poter davvero essere un'anima libera in grado di liberare gli altri intorno a me...
Probabilmente queste due motivazioni, quella infantile e quella adulta, hanno una spinta egoica in comune, e cioè, non soffrire, ma se nel primo caso è la bambina interiore che non vuole più star male, nel secondo è la cecità degli altri che crea la sofferenza, questa cecità non permette loro di vedere di essere in una prigione, e anche io lo sono come tutti, ma la riesco a vedere... molte persone no... e purtroppo per il momento non posso fare assolutamente niente, perché prima dovrei liberarmi io stessa.
Ho anche pensato che questo mio obbiettivo finale potesse avere uno sfondo narcisistico ma in quel caso non sentirei empatia verso gli altri e penserei di poter essere l'unica a questo compito...
Voglio aggiungere che ho capito ciò che grida la bambina interiore dalla comprensione di un trauma recente: mio padre una settimana prima di morire stava male, si era abbandonato sul letto e non collaborava in nessun modo, ma io invece di rendermi conto che la situazione era realmente disperata, ho inveito contro di lui perché "pensavo" (ho giudicato) che non volesse più lottare o che volesse ridurre mia madre a schiava (ho giudicato in maniera orrenda)..
Mi faccio schifo per questa cosa ma comprendo anche la mia non accettazione del fatto che lui ci stava lasciando (quindi paura della sofferenza) e probabilmente anche il fatto che c'è una parte ombra in me che nella sofferenza della gente ci vede cattiveria perché è questo che mia madre mi ha insegnato... a veder cattiveria nella rabbia che la sofferenza mi causava quando ero piccola perché in realtà non sapevo più come fare a chiedere un abbraccio, un bacio, una carezza....amore
Rimane il fatto che non ho saputo vedere mio padre quando aveva bisogno... E sono riuscita a Vederlo davvero solo quanto stava per morire (e infatti anche mia madre mi vedeva solo quando stavo male per questo motivo ho avuto una serie di problemi di salute autoimmuni per gran parte della mia vita anche abbastanza invalidanti).
Questo sentimento negativo per chi sta male può essere associato alla manipolazione, inconsciamente mi autoinfliggevo problemi di salute perché solo così ricevevo attenzione da mamma, il problema è che mia mamma mi dava affetto con le "cose" (era il suo modo di "dare" amore) e non combaciava, non riempiva il mio bisogno, però nello stesso tempo mi dava modo di avere la sua attenzione e una parte di me riconosceva che era il suo "linguaggio" per esprimere affetto.
Detto questo, quello che facevo da piccola era comunque una manipolazione (anche mal riuscita in quanto stavo male io e non ottenevo nulla che mi importasse veramente), ma c'è un'altra cosa da dire, ho sempre "preteso" che mia madre mi amasse in modo diverso da quello che conosceva lei.
La chiave è che una volta comprese le dinamiche poi ci si perdoni sia gli altri che sé stessi... basta giudizio... solo discernimento e consapevolezza...
Ecco la chiave
A.M.

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